Abbiamo parlato di recente (tipo ieri) de Il Tempo e la Voce, album originale firmato da Enrico Coppola e Giuseppe Di Bella. Studiosi, musicisti e appassionati, i due hanno pubblicato un disco (recensito qui) basato sui testi originali dei poeti siciliani del Duecento, quelli che importarono il modello di poesia provenzale e diedero il via a una catena di concause che ha portato alla nascita della lingua italiana. Il lavoro dei due, però, non odora di vecchio, anzi qui e là si rivela fresco come appena sfornato. Abbiamo rivolto qualche domanda al duo.
Come nasce l’idea dell’album?
Pur essendo entrambi, prima ancora che musicisti, ascoltatori attenti di quanto viene promosso e distribuito nel panorama odierno, ci stimolava l’idea di scrivere un disco che ne superasse i rigidi protocolli. Non ci interessava direttamente una critica di stampo sociale al presente, ma sin dal principio eravamo consapevoli che, puntando sulla rilettura elaborata di una testimonianza culturale, data la ristrettezza e l’appiattimento che imperversano, saremmo inevitabilmente finiti per innescarla.
Per recuperare il senso smarrito siamo voluti ripartire dalla fonte della nostra letteratura italiana in un viaggio a ritroso cercando di ricostruire le parole cancellate dal tempo. Ci affascinava l’idea che nessuno negli ultimi ottocento anni avesse più cantato in questa lingua ormai perduta, estromessa dal nostro immaginario dalle traduzioni toscane in cui ormai leggiamo questi testi. Il Tempo del titolo ha dunque questa doppia essenza: di distanza e distorsione, ma al contempo di eterno ritorno ciclico che ci riconsegna la Voce del poeta.
Quali e quante difficoltà sono sorte nel l’adattamento della metrica dei poeti siciliani del Duecento a idee musicali “contemporanee”, se così si può dire?
La maggiore difficoltà è stata quella di fare i conti con delle forme metriche estremamente complesse e codificate come quelle della poesia medievale. Come per le scelte strumentali e di arrangiamento ci siamo lasciati guidare dalla bellezza di questi testi, scomponendo piano piano le forme canoniche della canzone moderna e contemporanea e ricomponendole attorno alle poesie come una veste. Il risultato sorprendente alla fine è stato quello che queste forme, pur essendo mutate profondamente nella sostanza, hanno mantenuto la loro funzionalità e non si sono disarticolate.
Avete scelto strumenti per lo più tradizionali, ma senza entrare in discorsi “feticisti” tipo “la viola utilizzata alla corte di Federico II”… Potete spiegare questa scelta?
La volontà non era di fare un revival o di riprendere la musica da camera coi suoi strumenti e il suo apparato. L’esperienza di gruppi come gli Ecovanavoce o l’Arpeggiata, in tal senso, rappresentano esperienze straordinarie, con un “suono” che è davvero filologicamente teso a una “vocalità” di cordofoni e voci estremamente plastica.
Diversa la nostra idea, che era quella di trovare un equilibrio leggero, che facesse da ponte fra la world music, il cantautorato e composizioni “pastello” prive di eccessiva caratterizzazione, dove il suono sia vocale che strumentale mantenesse una trasparenza in grado di far passare l’aura e il Senso essenziale dei versi anche attraverso una melodia contemporanea, che avesse si ricordo di un altrove, ma stesse “dentro” questo tempo. Le chitarre e il violoncello, o perfino un suono di basso limpido, sono paradossalmente oggi timbri senza etichetta temporale e per questo li abbiamo preferiti.
Coppola-Di Bella: dimenticare l’Enpals
Qual è la risposta dal vivo del pubblico?
Il pubblico durante le varie tappe risponde soprattutto con grande attenzione, si crea una sorta di “sospensione” e di catalizzazione dovuta in parte al racconto che facciamo di ogni brano e di ogni lirica, e in parte, da questa dilatazione delle strutture circolari che quando l’alchimia funziona, creano una sorta di ipnosi; e dopo il concerto, magari in privato, gli spettatori sono sempre pieni di domande e curiosità, di vivo interesse.
La dimostrazione del fatto che a offrire qualcosa di “lento” e di “altro” si risvegliano processi e reazioni inedite, preziose. La musica (parafrasando quanto diceva Carmelo Bene per il teatro) dovrebbe avere il potere, quando la ascolti dal vivo, di farti dimenticare per un momento che esiste il Ministero del Turismo e dello Spettacolo, farti dimenticare l’e.n.p.a.l.s., la burocrazia e la prassi delle cose ordinarie, trascinarti via, e in rari momenti, con questo spettacolo, abbiamo l’impressione che ciò accada.
Ci sarà un seguito a “Il tempo e la voce”? E se sì, in che termini?
Stiamo già lavorando a un prossimo lavoro che segua questa linea, ma dove il legame con “Il tempo e la voce” sia sottile, più di metodo che di replica delle stesse scelte.
Ci sarà sempre un forte legame con l’aspetto letterario e simbolico nella scrittura e nella ricerca sui testi, dal punto di vista sonoro cercheremo di tracciare un sentiero ancora più diretto con la contemporaneità, useremo i cordofoni, soprattutto la chitarra in varie declinazioni, dalla classica suonata in modo classico, alle acustiche con particolari accordature aperte, perfino le elettriche con un suono clean, e suoni elettronici, utilizzati ancora una volta come suoni senza tempo, emulando atmosfere ancestrali o siderali.
Non possiamo ancora svelare su cosa sarà il concept, possiamo solo dire che racconterà uno dei miti più importanti e classici della storia, e la vita per frammenti di uno dei personaggi più ispiranti e densi del simbolismo occidentale.
da Traks 21 GIUGNO 2016